Fare (e amare) i libri
Non è un libro per soli addetti ai lavori: se amate visceralmente i libri e la lettura, come me, ve lo consiglio di cuore.
Perché non vuole essere un manuale ma un racconto.
Dieci anni di vita in una casa editrice, visti e narrati dai protagonisti: l’editore, l’art director, il direttore editoriale, il caporedattore, il direttore commerciale, il responsabile dell’ufficio stampa.
Quando lo scrittore ha finito di scrivere, abbiamo il titolo e un manoscritto.
Ma non abbiamo ancora un libro.
“Fare i libri” racconta come si arriva da questo punto all’oggetto finito, quello che in libreria tocchiamo, annusiamo e sfogliamo.
È un racconto essenzialmente per immagini, agevole ma molto ricco di informazioni. Senza accorgervene imparerete una gran quantità di cose. Il segreto del successo di “Fare i libri”, usato anche come manuale nelle scuole di design, è sempre quello di cui ho parlato anche qui: essere assolutamente competenti, ma non tirarsela quando si parla al pubblico “normale”.
Gran parte del lavoro per rendere un libro vendibile sta nella cura che si dedica alla copertina.
In inglese si dice “don’t judge a book by its cover”, cioè “non giudicare un libro dalla copertina”, nel senso in cui noi diciamo “non giudicare dalle apparenze” o “l’abito non fa il monaco”.
In realtà noi tutti, per istinto primordiale, ci facciamo un’idea sulla base di ciò che vediamo. Il nostro istinto è lì per salvarci la pelle come se vivessimo ancora da primitivi, e volenti o nolenti formuliamo sempre un giudizio, all’inizio.
Però poi possiamo decidere di guardare oltre.
Ma il “guardare oltre” è uno sforzo ingestibile per un essere umano in un negozio: visto, piaciuto, lo compro.
L’istinto ci frega al supermercato, ma ha il suo peso anche in libreria. Anche se la casa editrice pubblica prevalentemente letteratura americana contemporanea, e ha già un pubblico predisposto a un certo tipo di impegno, deve farci i conti lo stesso.
Insomma, la copertina conta.
Ecco il perché della cura infinita che si mette nella sua creazione: in “Fare i libri” ne vedrete tantissime, molte in più versioni, anche quelle scartate o rifiutate. Molte hanno delle storie interessanti.
È come assistere a un “dietro le quinte” del vostro film preferito.
Vi piace scoprire cosa c’è dietro la realizzazione di una cosa che amate? Spesso io guardo prima i contenuti speciali e dopo il film, ma forse sono un po’ malata..
Da qui in poi leggono solo i grafici:
Chiudo con una chicca, una “finezza” da grafico, una vera pippa per addetti ai lavori: a pagina 111 si descrive uno dei font (caratteri) scelti per la realizzazione di una collana, il Gill Sans. Preciso che è uno dei miei font preferiti, e che la collana a cui ci si è ispirati è la storica Penguin, un altro dei miei capisaldi. Nel descrivere il disegno di questo carattere si fa un confronto con il più “famoso quanto rozzo Helvetica”… apriti cielo!!
Trovare qualcuno che finalmente esprima un giudizio del genere sull’Helvetica è stato come vedere le nuvole aprirsi e sentire il suono delle trombe dei cherubini..
..alleluja!!
Alle persone normali questa storia non dice nulla, ma mettere anche minimamente in discussione l’Helvetica per noi grafici è come dire che la terra gira intorno al sole dopo che per secoli hai creduto l’opposto, cioè che tutto girasse intorno all’Helvetica.
Ma ne parlerò meglio nel post sul film “Helvetica” (che non è la Corazzata Potemkin).
Ok, sono entrata nel loop Falcinelli: dopo questo e Cromorama sicuramente ne leggerò altri.
Non vedo l’ora.