I lupi di Currumpaw
Vi piacciono i lupi? A me non particolarmente. E il selvaggio West? Nemmeno.
Eppure con questo libro è stato amore a prima vista. Afferrato, sfogliato, annusato e piaciuto.
“I lupi di Currumpaw” di William Grill può sembrare un libro di altri tempi.
Perché è illustrato con le matite colorate, che tu dici “roba semplice” e invece sono usate con un’intelligenza paurosa.
Perché parla del West, che tu pensi “roba vecchia bang-bang”, e invece si parla di rispetto e compassione per gli animali.
Il testo è dell’autore/illustratore, ma è una riscrittura di un racconto originale di Ernest Thompson Seton apparso nel 1898. È una storia vera: di come Seton, da cacciatore, si trasformò nel pioniere del movimento americano per la protezione delle specie selvatiche.
Grazie all’incontro con Lobo, un lupo di straordinaria stazza e intelligenza.
Un lupo furfante, a capo di un branco che seminava il terrore nella valle di Currumpaw, New Mexico, nel 1893.
Non entro nei dettagli della storia, perché è bella, seria, un po’ triste, e merita di essere letta.
Ma oltre a leggerlo, questo libro puoi goderlo anche con gli occhi, col naso e con le dita.
Disegni a matita e carta porosa, non bianchissima.
Cornici e decorazioni con motivi degli indiani d’America.
Pochi colori – io adoro i libri con una palette limitata – anche se in questo caso la palette non è sempre la stessa e può variare a seconda delle pagine.
Essenzialmente rossi, marroni, bianco e nero.
Niente verde, anche se ci troviamo immersi nella natura, e questo ci dice che siamo veramente nel selvaggio West, terra dura da conquistare, polverosa e a tratti inospitale.
Non si tratta di una storia breve, sono un’ottantina di pagine. Eppure la narrazione è affidata essenzialmente alla sequenza delle immagini.
Il testo è suddiviso in brevi paragrafi, incastrati in modo strategico in un’impaginazione molto varia, in cui però si percepisce uno schema, una ferma visione d’insieme, che è uno dei punti di forza di questo libro.
A volte – come nei fumetti – la pagina è una sequenza di microillustrazioni ordinate in una gabbia; a volte gli elementi singoli (personaggi, oggetti, animali) formano schemi o serpentine intorno al testo; a volte figure e parole si alternano dall’alto in basso.
Ma c’è sempre un senso di ordine.
In fondo siamo nell’Ottocento, no?
Anche la tipografia è “storica”: è stato scelto un carattere classico in cui tondo e corsivo hanno un disegno ben distinto fra loro, si usa il maiuscoletto, i numeri non sono tutti grandi uguali ma salgono e scendono dalla linea di base. Stampato nei classici nero o rosso.
Al tempo stesso lo stile e la tecnica dell’illustrazione sono “giovani” e contemporanei.
Si avverte che è giovane la testa che sta dietro a questo capolavoro.
Ogni tanto le immagini si aprono alla piena doppia pagina, e si avverte il respiro degli spazi sconfinati, delle praterie che abbiamo visto tante volte nei film.
Ma quanti western avrà visto un ragazzino delle medie, che dovrebbe essere il destinatario di questa meraviglia?
Ho trovato in rete alcune recensioni di giovani lettori, e ho riscontrato alcune difficoltà comuni.
Tanti riconoscono che il racconto ha un grande valore, che si percepisce però solo alla fine.
La prima parte della narrazione può risultare un po’ ostica, anche perché non tutte le illustrazioni sono facilmente interpretabili se non si conosce la storia del Selvaggio West.
Man mano che “l’uomo bianco” occupava la terra degli Indiani d’America, toglieva spazio anche agli animali che vivevano da sempre in quelle terre, modificando in modo irreversibile l’equilibrio della natura.
I western non vanno più tanto di moda fra i giovanissimi, e comunque i protagonisti qui non sono i classici banditi e cow-boys.
Qui non si parla di sfide e sparatorie. Ma vige la stessa legge idiota della sopraffazione.
Ha ragione chi ha l’arma più grossa, la tagliola più efficace, chi colpisce per primo.
Seton, il protagonista, alla fine se ne rende conto, e si arrende.
Insomma è una storia tosta, non è un libro “leggero” o divertente, ma è confezionato in modo straordinario.
Abbastanza da farti andare oltre le tue personali preferenze di stile o argomento.