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Paura delle cose semplici?

Anni fa nel mio ufficio ho assistito a una conversazione che ha veramente cambiato il mio modo di vedere le cose.

In un momento di pausa, due dei miei responsabili parlavano di un particolare momento storico del nostro paese. Come accade spesso, il fatto che gli eventi fossero intricati, sgradevoli e dannosi per la salute dell’Italia, veniva giustificato dicendo che si trattava di “decisioni politiche”.

Mi sono intromessa per dire che – molto semplicemente – le cose si vogliono fare o no, e che c’è sempre un motivo, molto umano, perché le cose prendono una piega piuttosto che un’altra.

Mi è stato risposto, dall’alto di età ed esperienza maggiori delle mie (di allora), che in alcuni ambiti esiste un livello di complessità che non si può semplificare.

Oltre alla politica ho pensato subito alla finanza, o al diritto.

Ma nessuna delle due persone davanti a me sembrava particolarmente felice o soddisfatta. Pur rispettandole, non rappresentavano per me un modello di vita.

Potevo accogliere questa loro visione? No.

Gli eventi possono essere intricati, ma ciò che spinge l’uomo ha origine appunto nel suo essere uomo: passioni, istinti, motivazioni. Tutto molto semplice.

Quindi mi sono tenuta la mia idea, e da allora visualizzo la politica come un’enorme mutanda, molliccia e bianchiccia, condannata a stiracchiarsi per coprire cose di cui vergognarsi un po’.

Al contrario, il mio entusiasmo per la semplificazione è aumentato a dismisura: uscendo dalla politica (argomento spinoso, lo so), ho iniziato ad apprezzare enormemente i divulgatori, cioè tutti coloro che sono in grado di raccontare eventi o fenomeni in modo da renderli veramente accessibili a tutti.

In tutti i settori: scienza, arte, letteratura, cinema, grafica.

I miei libri preferiti da anni non sono più i romanzi ma i saggi e i manuali. Quelli che ti spiegano “come”: crescere i figli, usare il computer, pulire la casa, alimentarti correttamente.

Tutte cose che a scuola non impari.

Ho un rapporto conflittuale con la cultura statunitense, ma devo ammettere che in questo gli americani sono veramente bravi. Oggi grazie a internet – e masticando inglese – è possibile accedere a una quantità stratosferica di contenuti di alta qualità. No excuses.

E, forse non a caso, ho sposato un appassionato di documentari: anche ascoltando con un orecchio solo, mentre riordino o metto a letto i bambini, qualcosa riesco sempre a capire.

Dove volevo arrivare con questo discorso? A un punto per me fondamentale:

non tutti sanno trasmettere quello che vorrebbero dire.

Farlo in modo da raggiungere veramente chi ti ascolta implica uno sforzo consapevole.

Se possiedo un grande sapere ma non sono in grado di focalizzare il mio ascoltatore, perchè sono concentrato solo su me stesso, (o perché ho fatto un fatica bestia a diventare competente, e adesso è ora di tirarsela un po’), lascerò sgocciolare qualcosa, ma non trasmetterò quasi nulla.

Se invece parto da chi ho davanti, e considero il suo punto di vista, per quanto diverso possa essere dal mio, posso fare lo sforzo consapevole di scomporre il mio contenuto in porzioni digeribili. Dalla più immediata a quella complessa che deve arrivare solo alla fine.

Stratificare, scomporre, darsi delle priorità. E mettere se stessi in secondo piano.

Niente scuse, niente mutande. Vietato tirarsela.

Quindi, la mia idea di semplicità non è semplicistica, o a buon mercato. Implica una forma di coraggio, quello di andare consapevolmente incontro ai bisogni di un’altra persona.

È uno sforzo che ripaga, anche in termini economici, se comunichiamo per affari.

E se diventasse una pratica comune, pensate a come sarebbe diverso il mondo.